MICRODANZA DI PIETRO MARULLO

È nato in me il desiderio di riflettere e lavorare sull’idea di archivio, di mettere insieme una quantità enorme di immagini. Immagini della cultura occidentale. Ho sentito che quella “tensione lì di tenere insieme” sarebbe stato il mio detonatore.

Non nascondo che questa idea di riflettere sull’archivio si tratta di un’operazione in sé quasi impossibile. Impossibile cioè sintetizzare o ridurre a cifra unica una materia così vasta ed eterogenea, fatta di correnti artistiche opposte, ripensamenti e punti di discontinuità.
Tuttavia, mi sembra intravedere due elementi comuni che fanno eco a dei fiumi sotterranei che attraversano il grande continente dell’arte occidentale: mi riferisco al concetto velo e alla figura della donna.

È innegabile che da sempre una delle questioni più importanti della pittura sia “il velo” nel senso tecnico di “drappeggio” e nel senso simbolico-concettuale di “spazio della rappresentazione”.
Da una prospettiva storica, è proprio dal secondo dopoguerra che il velo, cioè il supporto dell’immagine, comincia a “parlare”, a mostrarsi in quanto tale. Tanto da essere definito “violato” (Fontana, Burri, Klein, Kounellis, etc). L’apice di questo processo sono senza dubbi i tagli di Lucio Fontana. Studiosi come Stoichita non hanno esitato a paragonare i tagli di Fontana alle ferite del costato di Cristo nelle raffigurazioni delle Crocifissioni, Passioni, Pietà etc. Quindi il velo ci conduce, in questa velocissima riflessione meta-mediale, al concetto di ferita.
Ciò che teoricamente mi interessa stabilire qui, è questo aspetto concavo del velo. Come un bassorilievo in negativo, dove le ferite fanno riemergere una tensione tra sacro e profano. Tra un di qua ed un altrove della rappresentazione.

La mia scelta è quella di non mostrare l’archivio, di citarlo nel titolo della microdanza, e di lasciare quindi allo spettatore un viaggio nel suo archivio interiore.

Il punto nevralgico è a mio avviso nelle parole di Hans Belting quando annuncia che: “La storia dell’arte come disciplina non è ancora morta, sono i suoi metodi ad essere obsoleti”, riferendosi all’operazione de Yves Klein di utilizzare il lanciafiamme per letteralmente “bruciare l’immagine” rendendo l’atto produttivo dell’immagine (il bruciare), un atto performativo. Un’azione creatrice.
Seguendo questa prospettiva, è interessante per me cogliere una pietra miliare del visual e del performing art, cioè della rappresentazione: quello della ferita.
Il mio progetto è quindi una domanda allo spettatore: qual è la ferita della cultura occidentale?

Per la mia MicroDanza immagino un dispositivo danzatrice-oggetto.
L’oggetto in questione è una sorta di telo/velo che possa avere uno suo “dramma della materia”: passare da un dimensione bidimensionale, come un fondo, ad una dimensione tridimensionale come un bassorilievo per infine rivelarsi bandiera-stendardo.
È chiaro che questo tipo di oggetto faccia riferimento in senso figurativo al drappeggio classico, ed in senso simbolico a quanto descritto prima riguardo l’azione delle neoavanguardie.
Un materiale che manipolato dalla danzatrice, genera figure simboliche e movimento (quindi un oggetto cinetico).

Pietro Marullo

THE WOUND / ARCHIVE OF WESTERN IMAGES

Concept, regia, coreografia, scenografia, costumi PIETRO MARULLO
Sound designer JEAN-NOËL BOISSÉ
Assistente alla scenografia DIANA CIUFO
Assistente alla drammaturgia MARIANNA CIFARELLI
Danzatrice ARIANNA KOB

Una produzione FONDAZIONE NAZIONALE DELLA DANZA/ATERBALLETTO
coproduzione FONDAZIONE PALAZZO MAGNANI
nell’ambito di AN IDEAL CITY, progetto di arte pubblica in partnership con LES HALLES DE SCHAERBEEK – BRUXELLES e GREEK NATIONAL OPERA – ATENE, cofinanziato dal programma CREATIVE EUROPE dell’Unione Europea

 

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